Chiamatemi Des: la mini-recensione

Da appassionata di true crime questa miniserie l’aspettavo con ansia sia per il cast sia per il protagonista, Des; uno dei (tanti) serial killer che mi hanno sempre “affascinata” e devo dire di non esser rimasta delusa. La storia racconta del serial killer, realmente esistito, Dennis Nilsen (David Tennant) che ha ucciso dai dodici ai quindici ragazzi tra il 1978 e il 1983. Le vittime erano giovani e omosessuali (non tutti) senza fissa dimora, che faceva ubriacare per poi assassinarli. L’assassino è stato arrestato dell’ispettore Peter Jay. Il racconto è narrato attraverso gli occhi di tre uomini: Dennis Nilsen, Peter Jay (Daniel Mays) e Brian Masters (Jason Watkins), il biografo che ha scritto il libro su cui si basa lo show, ovvero Killing for Company.

ATTENZIONE: CONTIENE SPOILER

“Non è una celebrazione ma un avvertimento”

I tre episodi, nonostante l’argomento, vanno giù come caramelle grazie anche all’ottima interpretazione di tutto il cast ma soprattutto di un magnifico Tennant che sia nella somiglianza fisica che nelle movenze rappresenta un Nilsen credibile, a tratti serio, inquietante e ad altri ancora preoccupantemente “normale”.

“potevano essere 115”

L’adattamento è abbastanza fedele, alcune cose sono state cambiate e/o omesse ma non è un documentario e in soli tre episodi non si poteva pretendere di più. La scrittura l’ho trovata ottima, funzionale ed intelligente perché non sono caduti nel tranello di spiattellare i cadaveri in “bella mostra” evitando così di voler impressionare in modo facile, sono riusciti invece a rendere il racconto ancora più macabro e angosciante anche grazie all’uso egregio della musica e ai filmati d’archivio. Hanno dato spazio a tutti senza snaturare la storia. La rappresentazione della polizia è stata resa molto bene mostrando non solo l’aspetto investigativo-legale e politico (rappresentando magnificamente il disagio dei sopravvissuti che vengono trattati come pezze da piedi e in modo omofobico sia in tribunale sia dal “pubblico”) ma anche quello umano ed in questo caso il DCI Peter Jay -e il suo team- né sono l’incarnazione perfetta, perché se da un lato c’è l’ambizione, dall’altro c’è quello umano, Peter cerca in tutti modi di ottenere giustizia e lo si vede chiaramente con la vedova Allen. I colloqui fra Des e il suo biografo Masters (un ottimo Jason Watkins) li ho trovati splendidi, ci hanno dato un “piccolo” sguardo nella mente di Des. A proposito di sguardi… sono un’altra cosa che ho apprezzato perché hanno saputo trasmettere sensazioni ed emozioni; soprattutto durante il processo, dove gli sguardi glaciali di Des contrapposti alle testimonianze dei sopravvissuti hanno contribuito ad aumentare il senso di inquietudine.

“Tendiamo a preoccuparci solo dei più vulnerabili solo quando sono morti in circostanze tragiche.”

Questa frase detta da Des è ancora più tragica visto ciò che ha fatto e ciò che è. Ma chi era veramente Nilsen? Non spetta a me dirlo e nemmeno la serie lo fa… non lo sapremo mai e forse è meglio così.

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