Love & Anarchy 2, più Amore che Anarchia

Nella prima stagione della serie svedese Netflix, Sofie (Ida Engvoll), rappresentava la donna nella società patriarcale che si buttava alle spalle la sicurezza di una relazione matrimoniale stabile per intraprendere un rapporto fatto di sfide continue con Max (Björn Mosten), collega molto più giovane di lei, fino a diventare amanti. Confesso che non mi aveva entusiasmato molto, mi sono ricreduta con la seconda stagione.

Sarà che ho vissuto da poco tempo l’esperienza del lutto di un genitore, fatto sta che mi sono immedesimata molto in Sofie, nel momento in cui perde la persona cara e rifiuta di elaborare tale perdita per mostrarsi forte e coraggiosa, ma con la conseguenza di chiudersi con tutti, compreso Max.

Max, che nella prima stagione si divertiva a lanciare sfide alla donna da cui era fortemente attratto, nella seconda vive la disperazione di chi ama qualcuno ma viene tagliato fuori dalla sua vita senza una spiegazione, e pur capendo che qualcosa non va, è costretto a soffrire in silenzio. Confesso, mi ha intenerito tanto.

Dalla sofferenza alla rabbia, il passo è breve, i due cercano altre storie, si evitano, si allontanano sempre di più. Fino al punto in cui Sofie, tormentata dai fantasmi, scoppierà con tutto il dolore che ha volontariamente represso. E devo dire che il finale non è per niente banale, anzi.

L’ambiente della casa editrice è lo stesso della prima stagione, assisteremo a storie personali, storie d’amore, storie di cambiamenti nell’era del digitale e licenziamenti… ma il focus rimane la coppia protagonista. Un plauso all’interpretazione di Ida Engvoll, mi ha sinceramente stupita, è ben lontana ormai dalla monoespressiva Ester di “The Restaurant”.

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